Nel raccontarti un po’ di più cosa faccio, parto dalla definizione di turismo sostenibile, per allontanarmene subito: ” Il turismo sostenibile è un turismo capace di soddisfare le esigenze dei turisti di oggi e delle regioni ospitanti prevedendo e accrescendo le opportunità per il futuro. Tutte le risorse dovrebbero essere gestite in modo tale che le esigenze economiche, sociali ed estetiche possano essere soddisfatte mantenendo l’integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica, i sistemi di vita dell’area in questione. I prodotti turistici sostenibili sono quelli che agiscono in armonia con l’ambiente, la comunità e le culture locali, in modo tale che essi siano i beneficiari e non le vittime dello sviluppo turistico.“
Questo è ciò che dice l’Organizzazione Mondiale del Turismo, ma le definizioni sono sempre un po’ asettiche. Mi piace renderle umane, calarle nella pratica, perché si possano tradurre effettivamente in azioni concrete e significative.
Personalmente sono convinta che la sostenibilità cominci tra le mura di casa nostra: come ho già scritto in un post precedente, la sostenibilità è prima di tutto un viaggio a ritroso, dentro di noi. Nessuna azione è davvero eticamente pulita se non parte da una nostra integrità interiore, se non è supportata da una sensibilità vera, che ci fa rabbrividire e soprattutto indignare di fronte al lusso, allo spreco, all’eccesso.
Tutte quelle storie sulla riduzione dei consumi, la raccolta differenziata, il preferire la bicicletta all’automobile, sono solo azioni, che se non sono sostenute dalla VOLONTÀ , sono come i divieti di un genitore severo. Non saranno quindi sostenibili, ovvero non avranno una durata nel tempo, perché si sa, i divieti dei genitori ci sono sempre stati stretti.
Una definizione alternativa di turismo sostenibile
Una delle domande che più spesso mi viene posta durante le interviste è ovviamente cosa significa per me viaggiare sostenibile. Per rispondere faccio prima un bel respiro e poi tiro fuori dal cilindro termini come “cuore”, “sensibilità”, “gentilezza”, “cura”. La sostenibilità, ovvero lo sguardo rivolto verso il futuro, secondo me passa necessariamente per queste parole. Si diventa persone attente alla questione della sostenibilità solo se ci risvegliamo dal torpore in cui siamo immersi, causato dall’eccesso di materialismo. Le cose ci dominano, hanno il controllo su di noi anche se non ce ne rendiamo conto. Il legame che abbiamo con loro – spesso è dipendenza – ci allontana da ciò che è davvero importante: le relazioni, le esperienze autentiche, il legame con la Natura.
Ecco qua allora la vera sfida: togliere invece che aggiungere, rischiando di sentirci nudi per un po’, anche spaventati, ma col tempo, certamente più ricchi.
La pandemia che ci ha colpito ce lo ha insegnato molto bene: c’è bisogno di tornare all’essenziale, per ritrovarci più umani, dentro ad un ecosistema sublime e perfetto.
Cosa deve fare un turista responsabile, allora?
Passare attraverso la consapevolezza. Un turista responsabile dovrebbe farsi guidare dalla consapevolezza rispetto a ciò che ci sta attorno e al nostro impatto su questa Terra. Dovrebbe mettere da parte il proprio ego, per accorgersi che è un piccolo granello connesso col tutto, molto più grande e importante.
Condivido molto del vademecum stilato da Valentina di Viaggiare Libera a proposito del turismo responsabile, che parte dal presupposto che si può viaggiare responsabilmente se si applica la vecchia regola del buon senso e del rispetto: tra i vari punti c’è l’importanza di informarsi prima della partenza rispetto alla storia, usi e costumi del Paese; l’apertura mentale verso le diversità e la potenza del sorriso, capace di aprire le porte del cuore e comunicare anche nelle differenze linguistiche.
Il turismo dopo il Covid: sempre più sostenibile e vicino
Grazie alla pandemia, il turismo sarà sempre più vicino e sostenibile. Non è vero. La frase va corretta così: “a causa della pandemia, il turismo sarà sempre più vicino e sostenibile”. Abbiamo paura, siamo spaventati dall’idea del contagio e questo sta influenzando le nostre scelte di viaggio.
Non molti hanno fatto quel passaggio interiore necessario per diventare persone autenticamente attente all’ambiente. Altrimenti non ci sarebbero così tante mascherine per terra, nè così tanta aggressività diffusa. Saremmo dovuti diventare più umani, stretti gli uni con gli altri per aiutarci a superare un periodo così doloroso e difficile.
Ahimé, leggo quindi nella ricerca di un turismo nella natura, il bisogno di stare lontani da possibili cause di contagio. Credo che questa impennata di interesse verso parchi naturali, sentieri di montagna e piccoli borghi sia più dovuta ad un bisogno di sicurezza, piuttosto che da una rinnovata sensibilità ecologica.
Non è questa la ragione che speravo attivasse il cambiamento interiore nelle persone. In cuor mio, confidavo in un risveglio delle coscienze spinto dalla riscoperta della nostra spiritualità, ma cerchiamo di prendere il buono di questa situazione mondiale e valorizziamolo.
La mia è quindi una speranza: una speranza che la potenza positiva di queste esperienze ci trasformi in uomini e donne più umili e rispettosi di fronte alla meraviglia del Creato. Che la corsa forsennata verso “il di più” si fermi per lasciare il posto al vuoto fertile, uno spazio di cura della nostra interiorità e delle nostre relazioni.
Insomma, se una pandemia avrà innescato il cambiamento , almeno non sarà stato tutto vano.